L’ISEE dà e l’ISEE toglie: nel 2023 prestazioni in calo
L’ISEE 2023 dice che le famiglie italiane stanno diventando più “ricche”: ma è davvero così come sembra? Il quadro di apparente miglioramento emerge da una ricerca svolta da Il Sole 24 Ore (pubblicata l’8 maggio) sulla base dei dati forniti da CAF ACLI e relativi a un campione rappresentativo di 408mila DSU ISEE elaborate presso i nostri sportelli durante la prima parte dell’anno. Va considerato che questa ricchezza, o presunta tale, nel 2023 sta togliendo a molti la possibilità di usufruire delle prestazioni di sostegno al reddito, mentre altri se le sono viste ridurre in ragione sempre di un innalzamento della condizione reddituale o patrimoniale.
Stiamo ai dati: nel complesso, scrive il Sole, “il valore medio degli indicatori elaborati quest’anno è in aumento del 12% rispetto a quelli dell’anno scorso e del 14,2% rispetto a quelli redatti nel 2021”. Si tratta per altro di un incremento abbastanza uniforme lungo tutta la penisola, che non vede riemergere l’abituale dislivello fra Settentrione e Mezzogiorno. Un incremento, inoltre, che denota un andamento proporzionale rispetto alla composizione più o meno estesa delle famiglie: “stupisce infatti che il trend sia più marcato al crescere del numero di componenti del nucleo: l’ISEE della famiglia numerosa (dai cinque componenti in su), su cui grava una spesa mensile più elevata, è cresciuto tra il 14 e il 18% nel triennio, contro il +12% dei single”.
Altro dato significativo è l’allargamento della forbice tra gli ISEE più poveri e quelli più ricchi: “si riducono soprattutto le famiglie con Isee inferiore a 3mila euro: se l’anno scorso rappresentavano il 15% del campione, quest’anno sono il 9,9 per cento. In parallelo, sale sopra la soglia Isee dei 40mila euro un numero maggiore di nuclei, oggi quasi il 4% del campione (+50% su base annua)”. La chiave potrebbe essere, come ipotizza il Sole, nella ripresa post-pandemica: gli ISEE infatti del 2022 erano ancora calcolati sulla base dei redditi e patrimoni del 2020 – l’annus horribilis – quindi una svolta migliorativa rispetto a quell’anno fatto di durissime restrizioni e crisi economica, con drammatiche conseguenze sul piano sia dell’iniziativa privata che dell’occupazione, sarebbe facilmente spiegabile.
“Eppure – aggiunge l’analisi – il trend risulta in crescita anche rispetto all’Isee 2021, ancorato alla situazione economica del 2019”, quindi precedente alla pandemia. Tutto torna se andiamo a osservare la panoramica emersa dai dati del Dipartimento Finanze sui redditi dichiarati: “il reddito medio pro capite è tornato a crescere in modo consistente passando dai 19.796 euro del 2020 ai 20.745 euro del 2021, che addirittura segna un incremento significativo anche rispetto al 2019 (di 666 euro). A questo trend si affianca quello delle giacenze medie dichiarate ai fini Isee, in crescita del 25% in soli due anni: nell’Isee 2023 confluiscono i dati dei conti correnti relativi al 2021, quando il boom dei depositi e l’eccesso di liquidità post Covid toccava il suo picco massimo”.
Ma come si abbina tutto questo con l’attualità di un paese che sta facendo i conti con le sabbie mobili dell’inflazione e del caro energia? Stiamo davvero parlando di famiglie più ricche o benestanti? Il tema ci riporta a un grande classico dell’ISEE in quanto strumento nato allo scopo di “fotografare” la situazione economica delle famiglie: è o non è un indicatore affidabile? È o non è uno strumento adatto a tale scopo? “L’innalzamento dell’indicatore rischia di diventare una trappola – osserva il Sole –. Un valore medio più alto può spingere una famiglia oltre la soglia di accesso alle misure di contrasto alla povertà, tagliandola fuori da assegni o bonus sociali. Si pensi ad esempio alla soglia Isee di 9.360 euro per il reddito di cittadinanza (che dal 2024 verrà sostituito dall’Assegno di Inclusione, ndr): tra gennaio e marzo il beneficio è stato revocato a circa 27 mila nuclei, mentre i decaduti dal diritto sono stati 111mila. Per il bonus gas e luce, invece, l’innalzamento della soglia a 15mila euro da gennaio 2023 dovrebbe aver evitato questi rischi”. Senza poi contare gli altri casi in cui “un’attestazione più alta può tradursi in una riduzione dell’aiuto modulato in base all’Isee. Ad esempio, potrebbe aver quasi annullato l’aumento dell’8,1% applicato da gennaio sull’assegno unico per i figli: l’importo spettante diventa inferiore e si riduce il vantaggio dell’adeguamento all’indice dei prezzi”.
Il paradosso, insomma, è quello di uno strumento che sì, dà l’accesso a certe prestazioni, ma al tempo stesso le nega: l’ISEE dà, l’ISEE toglie. Certamente il calcolo “retroattivo” che guarda a due anni prima può rivelarsi un’arma a doppio taglio, e nemmeno la possibilità di rifugiarsi nell’ISEE corrente (l’indicatore, cioè, aggiornato alla situazione economica dei 12 mesi precedenti) si rivela sempre un piano B praticabile, dato che il passaggio da un valore ordinario a uno corrente è ammessa nei soli casi di drastiche riduzioni di redditi e patrimoni, rispettivamente più del 25% e del 20%. Quindi, in buona sostanza, quello che emerge dall’ISEE 2023 è che le famiglie hanno una maggiore ricchezza, la quale però non solo non esiste (“i rincari di bollette e carrello della spesa, insieme al rialzo dei tassi di interesse, stanno erodendo i risparmi”), ma nemmeno, in un certo senso, se ne può dimostrare l’assenza.
FONTE CAF ACLI