Riforma fisco: le novità della manovre per gli impatriati
Tornare in Italia con l’obiettivo di avere un trattamento fiscale privilegiato diventerà più difficile, o se non altro meno conveniente, dal 1° gennaio 2024. Se le novità introdotte sul regime di tassazione agevolato per i cosiddetti “impatriati”, ovvero lavoratori italiani residenti all’estero, che dopo anni di professione oltre confine decidono di fare rientro, fossero approvate così come uscite sul decreto di riforma fiscale varato dall’esecutivo nel cdm del 16 ottobre, allora sì, sperare di ottenere un fisco ultra-scontato e incentivante per riportare il proprio cervello in Italia diverrebbe ben più complicato di adesso. Quello delineato dal testo governativo, che ovviamente passerà dall’esame parlamentare per arrivare alla conversione definitiva entro il 16 dicembre, è in effetti un sostanziale ridimensionamento sotto tutti i profili (economico, temporale, e anche della platea dei potenziali beneficiari) delle “regole d’ingaggio” per convincere chi sta all’estero a tornare qui.
Regime impatriati 2023: quali sono le regole attuali
Per capire allora come cambierebbero le cose, vediamo qual è la base da cui si parte. L’attuale regime degli impatriati (Dl 147/2015), che dunque cesserebbe il 31 dicembre 2023 (le nuove regole non avranno comunque effetti retroattivi su chi si fosse trasferito entro la fine dell’anno), prevede, per almeno cinque anni, un serio abbattimento, nella misura del 70%, della soglia reddituale soggetta a tassazione. Abbattimento che arriva addirittura al 90% nel caso in cui il trasferimento dall’estero avvenga in una delle regioni del Mezzogiorno: Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia. Cioè in parole povere, su 100 euro guadagnati, chiunque goda dell’attuale sistema agevolativo ne vedrà tassati 30, o nel migliore dei casi 10 per cinque anni filati (quello del trasferimento, più i successivi quattro).
Regime impatriati 2023: i requisiti necessari
È chiaro che per accedere al regime sono previsti alcuni paletti: anzitutto il lavoratore non deve essere stato residente in Italia nei due periodi d’imposta precedenti al trasferimento, si deve poi impegnare a risiedere in Italia per almeno due anni, e ovviamente la nuova attività lavorativa – che non deve rappresentare in alcun modo una mera prosecuzione del lavoro già fatto all’estero – va svolta prevalentemente sul territorio italiano. Tutto questo è inoltre prorogabile, nel senso che dopo il primo quinquennio di regime fiscale agevolato, al verificarsi di alcune condizioni, il lavoratore ha la possibilità di beneficiare per ulteriori cinque anni della medesima tassazione; ovvero quando:
- abbia almeno un figlio minorenne o a carico;
- oppure sia diventato proprietario di un’unità immobiliare residenziale in Italia dopo il trasferimento della residenza.
Regime impatriati: come cambia nel 2024
Ora che abbiamo fatto un quadro panoramico sulle regole attualmente in vigore, vediamo come verrebbero “rimodulate” (per non dire smantellate) da quelle nuove contenute nel decreto di riforma. Parlavano di un ridimensionamento globale, sotto tutti i profili, a cominciare da quello più evidente, il profilo economico. Pur restando infatti l’abbattimento quinquennale – non più rinnovabile però – della soglia imponibile, quest’ultimo si alzerebbe al 50% per tutti i lavoratori, cancellando così la differenziazione incentivante per il trasferimento nelle regioni del Sud. Tornando allora all’esempio dei 100 euro, se prima me ne tassavano 30 o 10, adesso me ne tasseranno comunque 50, a prescindere dalla residenza presa. Sta di fatto, quindi, che dal punto di vista fiscale il regime sarà molto meno conveniente, ivi compreso il depennamento sull’opzione di proroga 5+5.
Regime impatriati 2024: regole temporali più stringenti
C’è poi l’aspetto dei requisiti temporali, anch’essi inaspriti dalle nuove regole. Requisiti modificati su ambedue i fronti, prima e durante il regime, visto che non vi potranno avere accesso i lavoratori che siano stati fiscalmente residenti in Italia nei tre (non più due) periodi di imposta precedenti al rientro dall’estero; inoltre il lavoratore trasferito sarà tenuto a un vincolo temporale più impegnativo con l’Italia, perché dovrà impegnarsi a restare non più per tre, bensì per cinque anni, cioè in pratica per tutto il quinquennio coperto dal regime agevolato.
Impatriati: maggiore specializzazione dei cervelli
L’ultimo aspetto è quello, per così dire, del “target”, o della “profilazione” della platea di beneficiari della tassazione agevolata, visto che il nuovo decreto, a differenza di prima, esplicita molto apertamente l’intenzione di attrarre soggetti in possesso di requisiti di “elevata qualificazione o specializzazione”. Il criterio del legislatore sembra quindi essere duplice: da un lato improntato a un’idea di maggiore risparmio in termini di copertura fiscale, e dall’altro all’innalzamento della qualità selettiva sui cervelli rientranti. Vedremo adesso se l’impianto concepito dal Governo resisterà (e in che misura) alle trattive dell’agone parlamentare, o se invece verrà (com’è prevedibile che accada) profondamente rivisto alla luce di regole meno austere.
FONTE CAF ACLI