L’immobile rivenduto col Superbonus fa plusvalenza
Il Superbonus genera “plusvalenza” e va ad incidere sui redditi Irpef. È una delle novità fiscali uscite dalla manovra 2024, ossia l’aggiunta alla voce “redditi diversi” (articolo 67 del TUIR) dei proventi maturati con la vendita di immobili su cui siano stati effettuati degli interventi agevolati con la maxi-detrazione, applicata un tempo urbi et orbi con la formula del 110, poi abbassata al 90% lo scorso anno, e adesso ulteriormente retrocessa al 70. È chiaro che il legislatore cerca di far cassa recuperando in parte quello che il Superbonus è costato alla casse pubbliche, rifacendosi per così dire su chi, sfruttando il grande beneficio fiscale, si è rifatto casa nell’ottica poi di rivenderla a un prezzo maggiorato, quindi agendo al di fuori di un’esigenza puramente abitativa. Dal 1° gennaio, quindi, entra in circolo una plusvalenza ad hoc – si direbbe quasi “ad bonus” – sugli immobili rivenduti dopo essere stati rinnovati con la detrazione in questione.
Plusvalenza Superbonus: quando viene tassata
Contestualizziamo allora la cosa. L’ambito, come abbiamo detto, è l’articolo 67 del TUIR, che prevede un elenco di redditi (tra cui varie tipologie di plusvalenze o di redditi derivanti da cessioni/contratti) classificati appunto come “diversi” proprio perché non sono conseguiti nell’esercizio di una professione autonoma o dipendente, e tantomeno nello svolgimento di un’attività imprenditoriale o commerciale. Ora, dal 1° gennaio 2024 la manovra aggiunge una nuova tipologia all’elenco delle plusvalenze indicate all’articolo 67 del TUIR, ampliando così il raggio della tassazione sui citati redditi diversi: a essere incluse sono quelle “realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili in relazione ai quali il cedente o gli altri aventi diritto abbiano eseguito interventi agevolati dal c.d. Superbonus (…) che si siano conclusi da non più di dieci anni all’atto della cessione”.
Questa è dunque una prima demarcazione della nuova area su cui agirà la leva fiscale dell’Irpef. Qui però il legislatore fa già un distinguo: saranno infatti esenti da tassazione (non generando di fatto plusvalenza ai fini Irpef) le vendite degli immobili che, sebbene ristrutturati col Superbonus, siano stati acquisiti per successione oppure adibiti ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari per la maggior parte dei dieci anni trascorsi tra la fine dei lavori e la cessione; qualora invece il periodo trascorso tra la data di acquisto/costruzione dell’immobile e la sua cessione dopo i lavori di Superbonus sia inferiore a dieci anni, è necessario che per la maggior parte di questa decade la casa sia stata comunque adibita ad abitazione principale del cedente, che in tal caso non si vedrà tassata la plusvalenza.
Plusvalenza Superbonus: come viene calcolata
Fin qui il cosa. Non abbiamo invece parlato del come la norma demarca la plusvalenza. Questa infatti viene calcolata in base alla differenza tra l’importo incassato dalla cessione e il prezzo d’acquisto o il costo di costruzione originario dell’immobile venduto, “aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo” (cioè in pratica l’ammontare dei lavori soggetti all’agevolazione Superbonus viene sommato al provento della vendita). Se invece la cessione riguardasse un immobile acquisito a suo tempo per donazione, verrebbe chiaramente assunto come prezzo di acquisto o costo di costruzione quello sostenuto dal donante.
Ma anche qui la norma fa dei distinguo. L’importo, infatti, delle spese relative agli interventi, potrebbe anche essere considerato al 50% o addirittura non essere considerato affatto nel calcolo complessivo della plusvalenza. Quest’ultimo caso si verificherebbe qualora gli interventi si fossero conclusi da non più di cinque anni rispetto alla vendita, e qualora fosse stata esercitata l’opzione della cessione del credito o dello sconto in fattura al posto del 110% spalmato in cinque anni tramite la dichiarazione dei redditi. L’altra casistica invece (ovvero sommare al provento della cessione solo il 50% dei lavori) si verificherebbe qualora gli interventi si fossero conclusi da più di cinque anni, fermo restando che il cedente abbia comunque opzionato la cessione del credito o lo sconto in fattura anziché il 110.
Tassazione plusvalenza Superbonus: Irpef o aliquota sostitutiva
Per chiudere va messo in evidenza un ultimo aspetto sul piano fiscale. La norma, infatti, prevede un piano B rispetto alla tassazione ordinaria sulla plusvalenza calcolata secondo i criteri che abbiamo appena detto: il solo reddito derivante dalla cessione potrebbe essere tassato con un’imposta fissa al 26% in sostituzione dell’Irpef nel caso in cui la cessione riguardi un immobile acquistato o costruito da non più di cinque anni. Quest’aliquota sostitutiva verrebbe ovviamente applicata a discrezione del dichiarante, che a quel punto valuterà o meno se adottare la scelta dell’imposta tradizionale oppure il 26% sul singolo reddito della plusvalenza.
FONTE CAF ACLI