Reddito di Cittadinanza: Isee decisivo. Al CAF per fare domanda.
Con la firma del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella sul Decreto n. 4 del 28 gennaio 2019 (ribattezzato “Decretone”), e la conseguente pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, il Reddito di Cittadinanza è diventato a tutti gli effetti una realtà normativa del Paese, in attesa, adesso, di trovare i suoi sbocchi pratici nella vita quotidiana di quanti ne faranno richiesta. Definita quale “misura unica di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale”, il RdC andrà a sostituire il vecchio REI – Reddito di Inclusione – che a sua volta sostituiva il SIA, operando sul doppio fronte del sostegno economico alle famiglie meno abbienti e su quello del “recupero” sociale e dell’integrazione lavorativa.
CAF e Centri per l’impiego
Punti di snodo, allora, decisivi nell’attuazione del programma del RdC saranno da una parte i CAF e dall’altra i centri per l’impiego. I primi svolgeranno un ruolo cruciale per quanto concerne anzitutto la dichiarazione Isee (tappa fondamentale per la verifica dei requisiti di accesso) e successivamente per l’inoltro effettivo della domanda di Reddito. Ai centri per l’impiego sarà invece affidata tutta la questione dell’inquadramento lavorativo dei richiedenti. In buona sostanza la componente lavorativa sarà la conditio sine qua non per poter beneficiare dell’erogazione del RdC. Senza quindi l’accettazione, da parte del soggetto richiedente, di un percorso lavorativo in un determinato ambito cui si verrà indirizzati con l’ausilio dei centri per l’impiego (figure decisive saranno i cosiddetti “navigator” di cui si sta parlando), il RdC non verrà erogato.
Le risorse che sono state stanziate al progetto RdC dalla Legge di Bilancio 2019 ammontano a 7,1 miliardi complessivi per questo primo anno. I dettagli operativi sono invece contenuti nel “Decretone” varato dal Consiglio dei Ministri del 17 gennaio, ma è chiaro che per conoscere l’iter specifico tramite il quale sarà possibile presentare domanda ai fini del Reddito bisognerà attendere le istruzioni dell’Inps e del Ministero del Lavoro. Al momento sappiamo solo che l’articolo 5 del testo pubblicato in GU stabilisce che: “Le richieste del RdC possono essere presentate presso i centri di assistenza fiscale previa stipula di una convenzione con l’Inps” (convenzione che ancora non esiste).
A parte questo, sempre l’articolo 5 stabilisce che: “Con provvedimento dell’INPS, sentito il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, è approvato il modulo di domanda, nonché il modello di comunicazione dei redditi”; e inoltre: “Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali possono essere individuate modalità di presentazione della richiesta del RdC anche contestualmente alla presentazione della Dsu a fini Isee e in forma integrata”.
Beneficiari e requisiti
Per quanto riguarda invece beneficiari e requisiti, non resta che rifarci al dettato della norma: articoli 1 e 2. Il reddito di cittadinanza sarà dunque riconosciuto – a decorrere dal mese di aprile 2019 – ai nuclei familiari in possesso di una serie di requisiti anzitutto “logistici”:
- cittadinanza italiana o di Paesi facenti parte dell’Unione europea;
- titolarità del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente;
- cittadinanza di Paesi terzi + il possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
- residenza in Italia per almeno 10 anni, di cui gli ultimi due (considerati al momento della presentazione della domanda) e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo.
Vi sono poi i requisiti economici che fanno entrare in gioco l’Isee. Il RdC sarà infatti vincolato al calcolo dell’indicatore della situazione economica equivalente riferito alla famiglia. In linea generale la soglia Isee da non oltrepassare, comprensiva quindi di eventuali redditi fiscalmente imponibili e delle eventuali fonti patrimoniali, è fissata di 9.360 euro. Vi sono poi, all’interno del calcolo Isee, gli altri requisiti specifici ugualmente influenti ai fini della domanda, e cioè:
- un valore del patrimonio immobiliare non superiore ad una soglia di euro 30.000;
- un valore del patrimonio mobiliare non superiore a una soglia di euro 6.000, accresciuta di euro 2.000 per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di euro 10.000, incrementato di ulteriori euro 1.000 per ogni figlio successivo al secondo. I predetti massimali sono ulteriormente incrementati di euro 5.000 per ogni componente con disabilità presente nel nucleo;
- un valore del reddito familiare inferiore ad una soglia di euro 6.000 annui moltiplicata per il corrispondente parametro della scala di equivalenza. La predetta soglia è incrementata ad euro 7.560 ai fini dell’accesso alla Pensione di cittadinanza. In ogni caso la soglia è incrementata ad euro 9.360 nei casi in cui il nucleo familiare risieda in abitazione in locazione, come da dichiarazione sostitutiva unica (Dsu) ai fini Isee.
Con riferimento invece ai beni durevoli:
- nessun componente il nucleo familiare deve essere intestatario a qualunque titolo o avente piena disponibilità di autoveicoli immatricolati la prima volta nei sei mesi antecedenti la richiesta, ovvero di autoveicoli di cilindrata superiore a 1.600 cc o motoveicoli di cilindrata superiore a 250 cc, immatricolati la prima volta nei due anni antecedenti, esclusi gli autoveicoli e i motoveicoli per cui è prevista una agevolazione fiscale in favore delle persone con disabilità ai sensi della disciplina vigente;
- nessun componente deve essere intestatario a qualunque titolo o avente piena disponibilità di navi e imbarcazioni da diporto.
Infine, come ulteriore requisito “comportamentale” anti-lavoro nero (scongiurare cioè le situazioni in cui un lavoratore scontento, pur di arrotondare col RdC, potrebbe dimettersi per poi lavorare senza contratto), è stata poi aggiunta la condizione in base alla quale il nucleo non deve avere tra i componenti “soggetti disoccupati a seguito di dimissioni volontarie nei dodici mesi successivi alla data delle dimissioni, fatte salve le dimissioni per giusta causa”.
Erogazione
Finora abbiamo visto i paletti entro i quali è possibile ottenere il RdC. Quanto all’erogazione vera e propria degli importi, questa avverrà su un’apposita Card erogata da Poste italiane e molto probabilmente abilitata soltanto a determinate tipologie di acquisto tracciabili di prima necessità. Tuttavia anche questo è un punto su cui dovrà essere fatta chiarezza in seguito, perché, stabilisce la norma del Reddito (articolo 3, comma 7), “con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da adottarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sono stabilite le modalità di erogazione del RdC suddiviso per ogni singolo componente il nucleo familiare maggiorenne”.
A dispetto dunque di quanto indicato nell’incipit del decreto, che fissa al 1° aprile 2019 la data di decorrenza del RdC, qui il legislatore individua in “sei mesi” dalla sua entrata in vigore (28 gennaio 2019) il tempo tecnico per stabilire le modalità operative di erogazione. Morale: di fatto le erogazioni vere e proprie del RdC potrebbero partire non prima di fine luglio, considerando comunque gli arretrati a partire dalla mensilità di aprile, mese di decorrenza.
Il beneficio in ogni caso – stabilisce il comma 4 dell’articolo 3 – “non può essere complessivamente superiore ad una soglia di euro 9.360 annui (780 mensili), moltiplicata per il corrispondente parametro della scala di equivalenza, ridotta per il valore del reddito familiare. Il beneficio economico non può essere altresì inferiore ad euro 480 annui”. Questo significa che non esisterà un’erogazione standard per tutti, ma che ciascun nucleo beneficerà di un importo mensile parametrato alla sua condizione effettiva. La durata sarà al massimo di 18 mesi, trascorsi quali occorrerà ripresentare la domanda di assegnazione.
Nodo risparmi
Oltretutto c’è da considerare l’implicito (e discutibile) obbligo introdotto dal legislatore a spendere tutto l’importo mensile entro il mese successivo a quello di caricamento sulla card. “Il beneficio – articolo 3, comma 15 – è ordinariamente fruito entro il mese successivo a quello di erogazione. A decorrere dal mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto di cui al presente comma, l’ammontare di beneficio non speso ovvero non prelevato, ad eccezione di arretrati, è sottratto, nei limiti del 20 per cento del beneficio erogato, nella mensilità successiva a quella in cui il beneficio non è stato interamente speso”. Quindi, ad esempio, la mensilità erogata ad aprile andrà esaurita entro fine maggio. Se ciò non dovesse accadere, “l’ammontare di beneficio non speso ovvero non prelevato, ad eccezione di arretrati, è sottratto, nei limiti del 20 per cento del beneficio erogato, nella mensilità successiva a quella in cui il beneficio non è stato interamente speso”.
Seguendo allora l’esempio, ciò che eventualmente non sarà stato speso/prelevato entro fine maggio verrà poi sottratto dalla mensilità di giugno. Lascia inoltre dubbiosi la possibilità di prelevare somme di denaro dalla card, come se questa fosse una qualunque tessera di debito o credito, perché a questo punto il denaro prelevato (quindi non tracciato) potrebbe avere destinazioni o utilizzi non congrui rispetto agli obiettivi che il RdC si prefigge. Chi potrebbe dire, infatti, che le quote prelevate dalla card siano poi effettivamente state spese e non “tenute da parte come gruzzolo”, o magari spese dagli stessi membri del nucleo beneficiario per beni di prima necessità?