Benefici prima casa senza frontiere: anche se si va all’estero
Le agevolazioni prima casa allargano i loro “confini” (è proprio il caso di dirlo) per i contribuenti trasferiti all’estero. A seguito della normativa rinnovata dal Dl “Salva-infrazioni” 69/2023, l’Agenzia delle Entrate – con la Circolare 3/E uscita il 16 febbraio 2024 – ha fatto il punto sui capisaldi della nuova regolamentazione che adesso include nei benefici fiscali anche i contribuenti che, pur fuori dall’Italia, decidono di acquistare sul territorio nazionale un’abitazione “prima casa”, concetto che ovviamente non va confuso con quello “fisico” e logistico di abitazione principale, cioè la casa dove letteralmente si vive.
Agevolazioni prima casa: come cambiano le regole
Anzitutto la mossa legislativa che ha reso l’applicazione delle agevolazioni fiscali ben più “ecumenica” rispetto a prima, svincola il loro riconoscimento dal requisito stringente della cittadinanza (principio che la Commissione Europea giudicava discriminatorio), spostandolo invece su un piano più oggettivo e pragmatico che vede le agevolazioni applicate anche ai non-cittadini italiani, che abbiano comunque dalla loro un trascorso italiano.
L’attuale norma, quindi, prevede che ai fini dell’accesso al beneficio “l’immobile sia ubicato nel territorio del Comune in cui l’acquirente (cittadino italiano e non, ndr) ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria attività, ovvero (e qui arriviamo al punto che ci interessa, ndr) se l’acquirente si è trasferito all’estero per ragioni di lavoro e abbia risieduto o svolto la propria attività in Italia per almeno cinque anni, nel comune di nascita o in quello in cui aveva la residenza o svolgeva la propria attività prima del trasferimento”.
Agevolazioni prima casa: i requisiti per i contribuenti all’estero
Ecco allora l’apertura della norma, che attribuisce il diritto alle agevolazioni fiscali anche alle persone fisiche che (scrive l’Agenzia nella Circolare 3 del 16 febbraio):
- si siano trasferite all’estero per ragioni di lavoro;
- abbiano risieduto in Italia per almeno cinque anni, o ivi svolto, per il medesimo periodo, la loro attività, anteriormente all’acquisto dell’immobile;
- abbiano acquistato l’immobile nel comune di nascita, ovvero in quello in cui avevano la residenza o in cui svolgevano la propria attività prima del trasferimento.
Riguardo al primo punto in elenco, l’Agenzia specifica che quando si parla di “lavoro” è da intendersi “qualsiasi tipologia di rapporto lavorativo (non necessariamente subordinato)”, ma che “deve sussistere già al momento dell’acquisto dell’immobile”; cioè in pratica il cittadino, quando acquista l’immobile, deve già trovarsi all’estero inserito nella nuova realtà lavorativa. Viceversa, se il trasferimento lavorativo si verificasse in un momento successivo all’acquisto agevolato dell’immobile in Italia, ciò non consentirebbe il mantenimento dei benefici, che quindi decadrebbero, e a quel punto il contribuente dovrebbe versare a posteriori le quote di imposte risparmiate grazie alle agevolazioni.
Riguardo infine al secondo punto, là dove si fa riferimento all’attività svolta in Italia anteriormente all’acquisto dell’immobile, per “attività” è inteso qualunque tipo di impiego, “ivi incluse le attività svolte senza remunerazione”, mentre il requisito temporale minimo dei cinque anni di residenza in Italia o di effettivo svolgimento dell’attività, non va inteso necessariamente in senso continuativo.