Spese d’istruzione (non universitarie e universitarie)
Detrazione delle spese non universitarie
Le spese d’istruzione non universitarie, cioè sostenute per la frequenza di scuole dell’infanzia, del primo ciclo di istruzione e della scuola secondaria di secondo grado del sistema nazionale di istruzione, sono detraibili entro un importo massimo (cioè entro una spesa sostenuta) pari a 800 euro. Secondo quanto disposto dalla riforma renziana della “buona scuola” la detrazione del 19% viene incanalata su un doppio binario: da una parte ci sono infatti le spese per l’università, dall’altra quelle per le scuole primarie e secondarie.
La vecchia formulazione dell’articolo 15, comma 1, lettera “e” del Tuir prevedeva la possibilità di detrarre nella misura del 19% le spese sostenute per la “frequenza di corsi di istruzione secondaria, universitaria, di perfezionamento e/o di specializzazione, tenuti presso istituti o università italiane o straniere, pubbliche o private, in misura non superiore a quella stabilita per le tasse e i contributi degli istituti statali italiani”. Ai sensi del comma 2 del medesimo articolo la detrazione spettava (e spetta tutt’ora) anche per gli oneri sostenuti nell’interesse dei familiari fiscalmente a carico.
Viceversa con la riforma di Renzi la suddetta lettera “e” viene rinnovata limitando la detraibilità alle sole spese sostenute per i corsi di istruzione universitaria (ad esempio immatricolazione ed iscrizione, soprattasse per esami di profitto e laurea, frequenza, corsi di specializzazione) “in misura non superiore a quella stabilita per le tasse e i contributi delle università statali”. Poi, in aggiunta alla lettera “e”, è stata inserita l’inedita lettera “e-bis” in cui si dispone l’applicazione della detrazione Irpef del 19% in riferimento alle spese, entro un limite massimo innalzato oggi a 800 euro per la frequenza:
- delle scuole dell’infanzia (ex asili);
- del primo ciclo di istruzione, cioè delle scuole primarie (ex elementari) e delle scuole secondarie di primo grado (ex medie);
- e infine delle scuole secondarie di secondo grado (ex superiori).
Quindi, in sintesi, la riscrittura della vecchia lettera “e” ha introdotto la nuova lettera “e-bis” che mantiene lo sgravio del 19% sulle spese di iscrizione/frequenza alle scuole secondarie di secondo grado allargandolo contemporaneamente ai livelli d’istruzione inferiore: asili, elementari e medie. Non solo: un altro cambiamento sostanziale apportato dalla “buona scuola” consiste nell’uniformità della detrazione che cancella, per le sole scuole dell’infanzia, del primo ciclo di istruzione e delle scuole secondarie di secondo grado, il vecchio discrimine fra istituti statali e parificati (privati). Difatti, secondo il vecchio regime agevolativo, la detrazione sui contributi pagati alle scuole parificate era ammessa nei limiti in cui gli stessi contributi non superassero l’importo di quelli pagati alle scuole statali, principio che è rimasto in vigore per l’istruzione universitaria.
Di conseguenza, a prescindere da quale sia il livello d’istruzione ricevuta (non importa se infantile, primaria o secondaria) e dall’istituto frequentato (non importa se privato o statale), il nuovo regolamento introduce un tetto massimo di spesa detraibile pari a 800 euro annui per alunno, sui quali verrà appunto applicata la detrazione del 19%, con un risparmio sull’imposta lorda che nel migliore dei casi ammonterà a 152 euro (cioè il 19% di 800).
Detrazione delle spese universitarie
Per le spese d’istruzione universiatarie non esiste un unico massimale di spesa, ma ve ne sono diversi (stabiliti dal Miur) a seconda dell’area geografica dell’ateneo e della macro-area disciplinare nella quale si colloca il singolo corso di insegnamenti frequentato dallo studente. Il discrimine fra atenei statali e privati è stato mantenuto, ma è venuto a decadere (almeno in parte) il requisito dell’affinità tra lo specifico corso di laurea frequentato nell’ateneo privato e quello invece tenuto nell’ateneo statale più vicino, in virtù del quale chi frequentava un’università privata avrebbe dovuto, per poter detrarre le sue spese, informarsi sulle tasse dovute nell’università statale più vicina ed affine.
Adesso, invece, le spese sostenute nelle università private, sono detraibili “in misura non superiore a quella stabilita annualmente per ciascuna facoltà universitaria con decreto del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca tenendo conto degli importi medi delle tasse e dei contributi dovuti alle università statali”.
Ecco perché ogni anno il MIUR “aggiorna” con un decreto ad hoc (in realtà fino ad oggi non sono mai cambiate) le soglie massime di spesa detraibile per chi frequenta università “non statali”. Come accennavamo, ci sono dei massimali distinti a seconda delle zone territoriali in cui ha sede l’ateneo (Nord, Centro o Sud-Isole), e al tempo stesso in relazione alle quattro macro-aree disciplinari ove si colloca il corso, vale a dire area Medica, Sanitaria, Umanistico-Sociale o Tecnico-scientifica.
Quindi, per l’esattezza, ecco qui la tabella aggiornata contenente gli importi massimi di spesa detraibile:
Nord | Centro | Sud e Isole | |
Area Medica | € 3.700 | € 2.900 | € 1.800 |
Area Sanitaria | € 2.600 | € 2.200 | € 1.600 |
Area Umanistico-Sociale | € 3.500 | € 2.400 | € 1.600 |
Area Tecnico-scientifica | € 2.800 | € 2.300 | € 1.500 |